Monete al tempo di Augusto

La produzione monetale negli anni dello scontro finale tra Ottaviano e Marco Antonio (44-31 a.C. Guerra civile) fu gestita direttamente dai triumviri o dai rispettivi luogotenenti e quasi interamente affidata a zecche itineranti al seguito dei comandanti, senza controllo alcuno da parte dell’autorità centrale.

Per conseguenza la confusione doveva essere massima, circolando contemporaneamente, gli uni accanto agli altri, ancora i buoni denari d’argento di età repubblicana e quelli coniati frettolosamente dai generali e dai triumviri in zecche lontane da Roma per soddisfarne le immediate esigenze delle loro legioni.

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Tre denari repubblicani in circolazione durante il periodo augusteo: dei magistrati P Crepusius C. Limetanus e L. Censorinus (82 a. C.) B. 3, Cr 360/1b (a), di L. Marcius Philippus (113-112 a. C.) (b), di Pub. Crepusius (82 a. C.) B. 1, Cr 361/1b. (c)

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Denario di Sesto Pompeo (Cr 511/3a), anch’esso in circolazione con i denari repubblicani.

Si è certamente trattato di una produzione in quantitativi non programmati che non si preoccupava di rispettare né il sistema ponderale in vigore né la bontà del metallo, considerata la presenza di molte emissioni suberate (con anima di rame rivestita in argento) o comunque non a pieno titolo come lo erano, ad esempio, i denari, detti legionari, prodotti da Marco Antonio alla vigilia dello scontro con Ottaviano.

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Denario legionario emesso da Marco Antonio (Cr. 544/37).

La monetazione di bronzo (lega di stagno e rame) era costituita dai molti diversi nominali coniati durante il periodo repubblicano e da Sesto Pompeo o Giulio Cesare. Gli assi onciali e semionciali venivano in quei decenni dimezzati per allinearli alle caratteristiche ponderali dell’asse allora in circolazione.

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Asse di Sesto Pompeo e asse di L. Calpurnius Bibulus (28 a.C.)  frammentato per ottenere due semissi o un asse di peso ridotto.

Augusto decise dunque di attuare una riforma radicale che fosse basata finalmente su un ordinato e semplice sistema di cambio tra i diversi nominali base: aureo in oro, denario in argento e sesterzio, asse e quadrante in oricalco, bronzo o rame, in un preciso rapporto di peso e di valore tra loro. L’asse era l’unità di misura, il sesterzio valeva quattro assi e il quadrante era un quarto dell’asse. Tutte e tre i nominali erano velocemente distinguibili da parte del pubblico per l’immediata diversità di dimensioni che le caratterizzava e non tanto per il peso o per il metallo di cui erano costituite.

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Le tre principali monete in oricalco, bronzo o rame coniate da Augusto: sesterzio (a) asse (b) e quadrante (c).

La maggior parte degli studiosi sono convinti che Augusto avocò a sé il diritto di produrre moneta in oro e argento mentre lasciò al Senato quello che riguardava le monete in bronzo. Doveva trattarsi, forse, di un privilegio meramente formale più che di un diritto reale dell’autorità senatoriale dato che i nomi dei magistrati monetali legati al Senato, a partire dal 12 a.C., scompaiono dalle monete in oro e argento e dal 4 a.C. da quelle in oricalco, bronzo o rame. Resta comunque costante la presenza della sigla SC (Senatus consulto) sulle monete in bronzo come attestazione della concessione del Senato di battere moneta.

Anche la decisione di Augusto di dividere tutta la produzione di moneta in due zecche principali potrebbe essere interpretata in linea con l’ipotesi della separazione reale delle competenze tra l’imperatore e il Senato. La zecca di Roma, fisicamente ancora dislocata negli edifici del tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio, era infatti utilizzata per la coniazione delle sole monete in oricalco o bronzo o rame, quella di Lugdunum (l’attuale Lione, in Francia), già attiva nei decenni precedenti, di quelle in oro e in argento.

Nei particolari, la riforma augustea prevedeva:

– moneta aurea, prodotta in due nominali, il denarius aureus e la sua metà, il quinarius aureus. L’aureo era prodotto a 1/42 della libbra (= g 327,45) con un peso teorico di g 7,79. Il metallo era praticamente puro.

– moneta argentea prodotta in due nominali, il denarius, erede diretto del vecchio denario repubblicano e principale protagonista della vita economica romana, e la sua metà, il quinarius, ma coniato in quantità limitate. Il denario era pari a 1/84 della libbra per un peso teorico di g 3,89. Anche in questo caso il metallo era praticamente puro.

– moneta in oricalco (lega di rame e zinco, più pregiato del bronzo e simile all’ottone), utilizzato per i sesterzi e in bronzo o rame per gli assi, i rari semissi coniati solo a Lugdunum e i quadranti. I pesi teorici vennero fissati a g 27,28 per il sesterzio, a g 10,91 per l’asse, g 5, 20 per i rari semissi e g 1,70 per il quadrante.

Con la riforma augustea non era in ogni caso previsto il ritiro dalla circolazione delle vecchie monete che potrebbero essere rimaste in uso per tutto il I secolo d.C e oltre.

Grazie anche all’entità dei bottini di guerra e delle diverse rendite da città e province, la produzione monetale augustea fu talmente ingente da provocare, secondo l’opinione di Svetonio (Augustus 41) un eccesso di circolazione con conseguente taglio dei tassi di interesse e crescita del valore delle proprietà terriere.

Tutta la monetazione augustea fu un veicolo di propaganda del programma politico ed ideologico di Augusto, sia con l’utilizzo delle legende sia con la precisa scelta dei tipi (facilmente comprensibili e riconoscibili anche da chi era analfabeta), come non era mai successo precedentemente nella monetazione repubblicana.

L’effigie dell’imperatore inizia a contrassegnare ormai praticamente tutti i nominali occupando il lato del diritto dove tradizionalmente, nella fase repubblicana e nel mondo greco, era l’effigie della divinità. Ne derivò una diffusione enorme del ritratto, maggiore che in qualunque altra classe di oggetti, dalla statuaria alla glittica, alla bronzistica.

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Nella prima fase del regno di Augusto sono ancora attive una serie di zecche diverse da Roma e da Lugdunum, situate soprattutto in Spagna (Colonia Patricia, Emerita, Caesaraugusta, ecc.) ma anche nelle regioni orientali, la maggior parte delle quali, comunque, chiuderà nei decenni successivi concentrandone, dall’epoca dei Flavi a tutto il II secolo d.C., la quasi totalità della produzione monetaria nella nuova sede della zecca nella regione del Celio.

Alcuni recenti studi hanno cercato di comprendere gli effetti dell’impatto di tale abbondante produzione sui mercati dell’Impero, la sua velocità di produzione e di distribuzione e le preferenze eventuali degli stessi utenti nelle diverse aree geografiche, nonché alcuni aspetti particolari quali il fenomeno dell’imitazione, che interessa in misura estesa soprattutto la produzione augustea, dell’uso delle contromarche e dell’abitudine del dimezzamento dei tondelli.

Per quanto riguarda la documentazione scritta, è interessante notare come le fonti citino le cifre indifferentemente in sesterzi o in denari, mentre nelle epigrafi la preferenza va alle somme indicate in sesterzi.

Per quanto riguarda, invece, i dati offerti dai rinvenimenti, nonostante la scarsità sempre lamentata della pubblicazione dei nuclei più cospicui di monete di questa fase, alcuni interessanti rinvenimenti, in aree della penisola e fuori, sembrano evidenziare che il nominale più attestato fosse essenzialmente l’asse, il protagonista della quotidianità. Anzi, se i dati finora evidenziati dovessero trovare conferma dopo l’edizione di altri nuclei coevi di simile interesse e consistenza, potrebbero scaturire alcune interessanti considerazioni sulla circolazione dei nominali in aree geografiche e in contesti differenti.

Durante l’età augustea, per esempio, brilla per l’interesse la cospicua presenza di assi triunvirali appartenenti alla produzione datata tra gli anni 7 e 6 a.C., nelle tre aree lungo il limes del Reno e del Danubio quasi che questa produzione abbia avuto come causa un forte interesse militare verificabile, per effetto di una circolazione secondaria, anche nelle aree italiche.